L'obiettivo della riforma in verosimile “rapida” dirittura d'arrivo è essenzialmente duplice: A) da un lato si intende (a nostro avviso correttamente) spostare/addossare l'onere della prova circa l'inadeguatezza del Modello organizzativo assunto dalla società sul/al Pubblico Ministero; tant'è che spetterà a quest'ultimo dimostrare con elementi concreti la non sufficienza del Modello quale deterrente al realizzarsi di condotte integranti i reati cosiddetti presupposto (ciò, del resto, appare conforme ai più basilari principi correlati alla ricerca della colpevolezza nella commissione di un qualsiasi reato omissivo o commissivo, non potendo invero bastare ricondurre il mero verificarsi del reato (pure) alla prova piena della totale inadeguatezza del Modello assunto); B) da altro angolo visuale si vorrebbe introdurre una sorta di meccanismo di certificazione (meccanismo ancora poco chiaro/chiarito) sia del Modello di Organizzazione che delle procedura di attuazione e di controllo del suo permanente aggiornamento. Al riguardo il Giudice, ovviamente, potrà/dovrà sempre valutare in concreto la corrispondenza tra il Modello attuato in concreto, il Modello certificato e quello che si sarebbe potuto adottare anche grazie all'applicazione ed implementazione di procedure concrete nel tempo resesi necessarie. La riforma, tuttavia, non sembra prendere (bene) in considerazione i diversi problemi che rimangono irrisolti da tempo e che, in particolare, riguardano l'adozione delle procedura rispetto ai gruppi e/o ai consorzi di imprese e/o di cooperative, nonché la macroscopia – e conseguente imprevedibile ampliamento non codificato – delle aree che riguardano (ovvero che potrebbero riguardare) i reati presupposto quali, ad esempio, quelli in materia contabile, fiscale e della sicurezza sul lavoro.